Ricordo che i suoni sono belli (e quando mai non lo sono
Non ci siamo ancora del
tutto ripresi dallo shock dell'album di esordio, e questi stakanovisti del
bluegrass ci sparano fuori il numero due, e che numero due! Uguale il suono,
per fortuna, uguale l'impostazione generale, molto equilibrata sulle atmosfere più
diverse, meglio di prima, se possibile, il livello tecnico complessivo della
band, grazie evidentemente ad un migliore affiatamento fra ‘vecchi’ e
‘ragazzini’ (incidentalmente, il bassista è già stato cambiato: bye, Marcus...).
Visto il successo di
pubblico e critica riscosso dal gruppo su disco e live, però, i nostri eroi si
sono guardati bene dal cambiare una virgola, e questo, ahimè, comprende anche
quelli che io considero e consideravo difetti. Immagino che Lou Reid dorma
sonni tranquilli nonostante queste mie critiche, ma continuo a pensare che molto
gioverebbe all'ascoltatore una saltuaria abbassata di tonalità in favore di un
modo di cantare meno atletico e più sensato. Oltre al fastidio per una voce
costantemente tirata a rischio di sparo di tonsilla, infatti, è inevitabile
notare come lo splendido timbro della voce bassa di Terry Baucom venga penalizzato
dal cantare note che basse non sono di certo, solo per mantenere la voce di Reid
nella ionosfera esterna.
E se per ulteriore schiaffo
applichiamo questa vocalità muscolare a pezzi già un tantinello fastidiosi proprio
per queste stesse caratteristiche, quali Last Train e Knockin' On
Your Door, che già mal sopportavamo fuori dalle corde vocali di Peter
Rowan, non potremo essere troppo criticati se schiacciamo il tasto ‘forward’
del telecomando... Ma non fraintendetemi: i Carolina restano oggi i veri
depositali del ‘Quicksilver Sound’ originale, molto più dello stesso Doyle come
credo di avere già detto, e ogni singola nota suonata da loro e dagli
scintillanti ospiti Bobby Hicks e Steve Wilson è in sé una piccola lezione di
bluegrass, quindi non ho troppe difficoltà a superare queste critiche in favore
di un godutissimo ascolto di Carolina Moon.