Sono monotono, lo
confesso, e spesso finisco per comprare CD terribili di vecchie conoscenze solo
perché sono loro affezionato, e non compro cose ottime di nuovi artisti perché...
mah, chissà perché.
In questo caso ammetto di
non avere molto considerato le signorine Petticoat Junction per più di un anno dopo
l'uscita di questo Lonely Old Depot solo perché, lo confesso, non ne
avevo letto recensioni (su bollettini o riviste), della qualcosa, fratelli e
sorelle, molto mi vergogno. Tenterò di rimediare dicendovi, con la massima
sincerità, che queste quattro ragazze hanno veramente le palle, ve lo giuro
(chi fra di voi volesse fare del femminismo a buon prezzo sappia, e lo dice un
anatomico accreditato, che interne o esterne sempre palle sono, soprattutto in senso
metaforico...).
Gena Britt (ora con Lou
Reid, Terry Baucom & Carolina) ha sul contrabbasso il tipo di ritmo duro e
deciso di cui Ronnie Bowman ci ha reso fanatici (lui però sul basso elettrico),
e il resto della band la segue con ritmica serrata e precisa su tutti i tempi,
dal veloce 'tipicamente buegrass' (ha!), a quei bei tempi medio-lenti 'slow
burning' che pochi riescono a rendere efficacemente. Grossa parte del merito, a
mio parere, va alla chitarra di Andrea Roberts, mentre il banjo di Robin
Roller, pur nella sua precisione, non mi ispira ululati di gioia, forse anche
per un timbro un pó così (nel senso di qualsiasi, anonimo). Gail Rudisill si
occupa del fiddle, molto degnamente, e tutte e quattro si dividono variamente
le parti vocali.
Chi di voi ama la
vocalità tipo Good Ole Persons sappia che qui può trovare miele per le proprie
orecchie, ma in non pochi momenti le voci di Petticoat Junction hanno un suono
unico e personale, per nostra fortuna e loro merito.
Scelte di repertorio:
ottime, decisamente varie con pezzi dalla tradizione bluegrass anni '50 e '60 (Flatt
& Scruggs, Jimmy Martin, Allen Shelton, Jim & Jesse ecc), dal sempre
grande e troppo misconosciuto Harley Allen, dal contemporaneo e ottimo Sonny Throckmorton,
e dalla penna delle ragazze stesse.
Sonny Osborne, nelle sue
'liner notes', sintetizza il tutto in poche righe: "Queste giovani sembrano
focalizzate nella direzione giusta. Hanno ascoltato, e imparato, degli
originatori e dagli artisti più nuovi, quindi hanno aggiunto le proprie idee
per creare questo suono. Il loro suono".
Il quale suono, dopo un paio
di pezzi, probabilmente vi prenderà e conquisterà, grazie a questa solidità di
radici che evita complicazioni superflue e slanci pseudoinnovativi, ma ricerca
quel tanto di nuovo che suoni personale e bene individuabile. Non guasta, inoltre,
l'assist di cavalli di razza quali Dan Tyminski a mandolino e voce, l'ottimo
Kim Gardner al dobro, Ronnie Bowman alla chitarra (su un pezzo), e Tim Austin
ancora con Tyminski alla consolle del suo studio (Doobie Shea).
Una vera ammucchiata di
talenti, insomma, per un CD che vi raccomando caldamente. Che dite, ho
rimediato? E magari ora se la prenderanno i fans degli 'pseudoinnovatori': chi
può dirlo?...