Direttamente
da Denton, Texas, Brent Mitchell e la sua band formata dalla bella Eleanor
Whitmore al violino/fiddle (figlia del manager del gruppo ed artista solista,
Alex Whitmore), Jondan McBride al basso, mandolino, chitarra e voci, Erik
Anderson al basso elettrico e contrabbasso e Steve Coil alla batteria, ci
presentano un album davvero stimolante ed atipico.
Brent ha
condiviso il palco con grossi nomi del calibro di Steve Wariner, Travis Tritt,
Exile, Janie Frickie e Robert Earl Keen, ma per sua stessa ammissione, egli si
trova maggiormente a suo agio di fronte al pubblico di un piccolo locale
dedicato alle performances della cosiddetta ‘Americana’, quel misto di
roots-rock, country, folk, blues e quant’altro ha a che fare con le tradizioni
musicali statunitensi.
Brent
Mitchell (chitarra acustica e voce) fonde nella sua espressione musicale le più
varie influenze stilistiche: country, folk, blues, musica etnica trovano una
precisa collocazione – più o meno evidente – per dare origine ad un prodotto
finito estremamente personale, offerto con una voce grintosa e ruvida, da
performer stagionato e rodato, mentre Brent è molto giovane e dotato di uno
sguardo magnetico ed inquietante.
Già
nell'iniziale Child Of God abbiamo un’idea abbastanza precisa che Brent
ha le idee chiare su dove vuole arrivare e su come arrivarci. Basta fare caso
all’uso del mandolino con evidenti velleità solistiche. La voce molto ‘colored’
e roca fa il resto. Stesso discorso per Waiting For You: la musica è
‘sparata’ in faccia all’ascoltatore con molta decisione, le soluzioni
strumentali e la ritmica spezzata ne fanno un pezzo tutt’altro che
orecchiabile: la definizione più calzante potrebbe essere invece ‘stimolante’,
in quanto agisce da deterrente nei confronti di chi cerca un ascolto distratto.
Da notare
– ma avremo anche altre occasioni – l’uso che Eleanor fa del suo strumento. In
questo caso siamo in presenza di un suono da ‘violin’, molto più classico ed
‘educato’ dell’irruento ‘fiddle’ noto agli estimatori del bluegrass, della
musica cajun e del contry in generale. Più fruibile l’amara ballata acustica di
Young Unwed Mothers, che narra delle ristrettezze e delle miserie – non
solo economiche – nelle quali si ritrovano le cosiddette ‘ragazze-madri’. In Could
Be Mine rieccheggiano le ritmiche spezzate tipiche delle sonorità
giamaicane, mentre il violino di Eleanor si insinua in punta di… corde ed il
mandolino solista di Jondan McBride fa faville.
Da notare
in modo particolare l’inserimento prepotente di accenni fortemente reggae,
grazie anche all’intelligente uso del cantato; mi ripeto: molto stimolante!
L’insolito title-track gode di un supporto musicale immediato e gradevole, che
può rammentare il conterraneo Robert Earl Keen Jr. anche nell’suo della voce,
sempre molto buona.
Le altre
sei songs scivolano via leggere, ma importanti, ciascuna con la sua precisa
ragione di esistere, come la tenera e malinconica ballata Michael,
dedicata allo scomparso compagno di gioventù, colpito a morte da un pazzo che
si credeva Gesù Cristo. Trova anche spazio un improbabile swing nelle strofe di
Trust, rallegrata dal drumming di Steve Coil, dal solito mandolino di
Jondan McBride e dalla voce e dal fiddle di Eleanor (dev’esserci del tenero fra
i due…). Per Everything I Know Eleanor imbraccia il violino ed anche il
mandolino addolcisce i suoi toni, per rammentarci, anzi, rammentarMI) lo script
di Jackson Browne (ve lo ricordate, agli inizi degli anni ’70…?).
A
distanza di due anni ed animato da spirito indipendentista, nel senso che la
parola Band non appare più nel titolo (ma gli amici sono lì ad aiutarlo:
Eleanor Whitmore al violino/voci, la sorella Bonnie al basso/voci, Jeff
Sorenson alla batteria e Jondan McBride al mandolino/chitarre soliste e
ritmiche, elettriche ed acustiche/basso elettrico/contrabbasso/voci), ritorna
Brent Mitchell solista, con lo stesso approccio grintoso e molto sicuro di sé e
della sua scelta artistica.
A fianco
delle proposte ‘alternative’ (vedasi i preziosi arrangiamenti vocali
dell’introduzione di Coal Miner’s Lung), in questo contesto in minoranza
rispetto alla concezione più tradizionale, troviamo altre situazioni alle quali
possiamo sentirci più vicini, quali la spumeggiante e semi-country/boogie How
Now, la delicata ed acustica Call Me, con il violino sognante e la
voce di Eleanor in sottofondo a duettare con l’acustica di Brent su un testo
tradizionalmente romantico – grande ballata.
Ancora il
dissacrante country-rock di Ticket To Heaven (“…se avessi un biglietto
per il Paradiso e tu non potessi entrarci, lo strapperei in mille pezzi e
verrei all’inferno con te...”) si scontra con le inconsuete note introduttive
di basso di Angel Of Flesh And Bone, per ricondurci alle atmosfere più
familiari, quasi di 'border', di Boquillas, dove si parla di Rio Grande,
di Johnny Rodriguez e dove il mandolino di Jondan si fa sentire chiaro e forte.
Ladybug si apre con una chitarra elettrica molto bluesy, poi entra il
fiddle, insinuante ed intrigante, come sempre, a fare da apripista alla voce
roca e maschia di Brent, con toni che l’avvicinano a quella di Delbert
McClinton.
Riecco lo
zampino della ‘soluzione alternativa’, con gli accenni ‘reggaeti’ di Drive
Me To Drinkin’, ma non lasciatevi ingannare dal fiddle e dalla steel
guitar: la country music di Nashville non potrebbbe essere più lontana di così.
Addirittura Eleanor si lascia andare ad un ripescaggio del tema dal film La
Pantera Rosa e si diverte con il suo trumento.
Brent
Mitchell è un nome nuovo in tutti i sensi: una serie di proposte musicali che
implicano una chiave di lettura della musica ‘Americana’ inusuale ed
alternativa rispetto a quelle adottate finora. Stimolante è l’aggettivo più
azzeccato per definire l’opera di Brent.