Uno del debutti
probabilmente più attesi dai bluegrass fans, e dai banjoisti in particolare, è
stato quello di Craig Smith in qualità di solista. Un'attesa fin troppo lunga,
quasi inspiegabile. Il numero delle sue collaborazioni è infatti lungo quasi
come la lista degli ‘Smith’nella guida telefonica di New York. Ha
suonato il suo Granada in buona parte dei migliori dischi bluegrass di questi
anni '90, principalmente per artisti senza banjo nella loro formazione o per
solisti che hanno inciso prodotti circondandosi dei migliori strumentisti in
circolazione; mi riferisco a Laurie Lewis, Stuart Duncan (Nashville BG Band),
Ronnie Bowman (Lonesome River Band), Jerry Douglas, David Grier e almeno
un'altra dozzina di importanti nomi. Il suo 5-string possiede tutte le qualità
per essere apprezzato, tanto dai tradizionalisti quanto da quelli che
preferiscono vedere lo strumento proiettato oltre il classico Scruggs-Style.
Un tono a mio avviso
perfetto, una pulizia ed un controllo da manuale, una scelta delle note dettata
dal miglior gusto, in grado di spaziare nel ‘melodic’con la stessa
scioltezza di Keith, un ‘back-up’degno del miglior Crowe.
Il disco riflette la
tendenza oggi in atto da parte dei ‘grandi’della nuova generazione,
ovvero quella sana scelta di non voler stupire proponendo lavori carichi di
tecnica fine a sé stessa, pezzi concepiti solo per dimostrare le proprie
capacità. E così anche in questo disco vi sono brani cantati, ben cinque, e una
gamma di ritmi e stili da rendere vario e piacevole l'ascolto sin dal primo
momento.
Un solo strumentale
veloce, dal repertorio di Ralph Stanley, quindi swing, old-time flavor,
fiddle-tunes, rag-time, country, un banjo ‘solo’, ecc. E per rendere
ancora più interessante il tutto, anche la presenza di Junior Brown alla steel.
Guai a chi non lo compra.