Nebraska è un disco fatto di sole
demo-song ed è un capolavoro. Per molti è un disco da isola deserta, per altri
è, almeno inizialmente, una gran palla che, o rimane tale, oppure diventa una
droga irrinunciabile.
Nebraska è anche il primo disco acustico di
Bruce Springsteen e nel 1982 spiazza tutti, a partire dai membri della sua
storica E Street Band. Niente chitarre, niente batteria, niente sax di Big Man,
in poche parole: niente band. Solo chitarra, voce e armonica. A volte più
chitarre o più voci, ma è sempre il Boss a suonarle. Il disco è stato
registrato solo con un Teac Tascam Series 144-4 Track Cassette Recorder, un po’
come farà la Shocked anni dopo. E il risultato è ammirevole.
La title track inizia con
un’armonica lancinante e si capisce subito che siamo a milioni di chilometri
dal roboante The River, il suo disco precedente. La storia viene dalla
cronaca quotidiana dell’America sconosciuta e disperata e permea tutto il disco
di questa rabbia e tristezza. Inizia con un omicidio e finisce con una (pena
di) morte.
Il lato A del disco si
segnala per i pezzi liricamente più forti come Highway Patrolman che
ispirerà anche il primo film di Sean Penn, The Indian Runner (Lupo Solitario,
qui da noi), dove il poliziotto Joe deve scortare oltre confine il delinquente
Frank, suo fratello. Canzone drammatica e semplicemente perfetta. Oppure Atlantic
City, l’unico singolo dell’album, che è praticamente un rock chitarre e
voce, dove l’amore si nasconde nelle vie scure e disperate di una delle
capitali americane del vizio. Ancora memorabile è il Johnny, di Johnny 99,
che viene condannato a 98 anni più uno (da qui il suo soprannome che intitola
la canzone) da una giustizia che non considera le attenuanti che anche
un’omicida può avere. Questi due pezzi, liricamente duri, ma musicalmente più
orecchiabili, saranno gli highlights dell’album.
Più bucolica e 'lieve' è Mansion
On The Hill che, con Used Cars e My Father’s House, attiene a
una sfera di ricordi personali di Bruce, della sua infanzia (lui che guida
l’auto sulle ginocchia del padre e la sorellina che si mangia un cono) e della
sfera onirica. C’è più Mark Twain che Guthrie o Dylan in questi pezzi. Di Open
All Night c’è poco da dire; è la canzone riempitivo del disco con un testo
funzionale alla musica, poiché, essendo un rock chitarra e voce senza un testo
degno, è chiaro che serve solo a tener desta l’attenzione sui brani successivi.
Di tutt’altra pasta sono
titoli come la cupa State Trooper, dove Bruce con voce grave chiede al
poliziotto di non fermarlo e lasciarlo fuggire con la sua auto verso una vita
migliore. Una canzone notturna e ossessionante che ci catapulta sul sedile
accanto al protagonista, e ci gela quando alla fine del brano lui urla per
liberare la tensione accumulata.
Chiude il disco una
canzone di speranza, Reason To Believe, che non rinuncia a immagini
cupe, ma che alla fine del giorno si rivelano anche una speranza per proseguire.
Nebraska è puro cinema che segna la fine
del ciclo d’oro del Boss. Da qui in avanti ci saranno dischi mediocri e momenti
esaltanti, ma fino a quel parabrezza sulla copertina di quest’album e quella
neve in terra la mediocrità è assolutamente bandita dai suoi lavori.