E' molto probabile che
agli anni Ottanta tocchi in sorte di far da testimoni a notevoli, forse
drastici cambiamenti nel modo di concepire, creare e fruire la musica acustica
nella più ampia accezione del termine. Parecchie sembrano le indicazioni in tal
senso: il numero sempre crescente di musicisti dediti al genere, il conseguente
aumento di curiosità ed interesse da parte del pubblico, frastornato da
migliaia di watts e sconcertato da una colossale mancanza di idee musicali
alternative di una certa validità, le possibilità pressoché infinite che una
musica acustica, non costretta da stilemi e canoni, offre al virtuoso
strumentista ed alla pura sperimentazione sia in termini di pentagramma che di
qualità tecnica di riproduzione del suono.
Ancora una volta i primi
passi verso un allargamento degli orizzonti sono stati mossi da musicisti
tradizionali o provenienti dalla musica tradizionale o legati per qualche verso
alla tradizione folkloristica, americana ed europea.
Fin dall'inizio degli
anni Settanta, tre gruppi di bluegrass progressivo, Country Cooking (Russ
Barenberg, Kenny Kosek, Andy Statman, Tony Trischka, Peter Wernick), il New
South di J.D. Crowe (Jerry Douglas, Tony Rice, Ricky Skaggs) e Muleskinner
(Richard Greene, David Grisman, Bill Keith, Peter Rowan, Clarence White), hanno
esercitato un'enorme influenza favorendo da una parte una più concreta presa di
coscienza del ruolo e dell'importanza del musicista acustico e spianando
dall'altra la strada a realizzazioni discografiche ancora più avanzate sortite
in un periodo di tempo in verità relativamente breve. Non può essere una
semplice coincidenza il fatto che oggi-giorno l'avanguardia del movimento sia
capitanata proprio da ex membri delle formazioni sopraccitate, insieme ad
artisti e gruppi gravitanti da più o meno anni in un'area musicale affine con
propositi e risultati spesso coincidenti.
Si pensi a John Fahey
(tutta una vita), a Norman Blake (soprattutto con gli ultimi tre album), ai New
Grass Revival, agli Spectrum, al francese Pierre Bensusan, al celtico Alan
Stivell, ecc.
Uno dei prodotti della
cosiddetta 'New Acoustic Music' che meglio ha resistito all'usura del tempo, ed
una delle espressioni più compiute del genere, è stato confezionato dal
mandolinista californiano David Grisman e dal suo ormai mitico Quartet/Quintet,
comprendente in epoche diverse i vari Darol Anger, Tony Rice, Todd Phillips,
Bill Amatneek, Mike Marshall, Mark O'Connor, Robert Wasserman, tutti seri
professionisti che da solisti hanno portato, portano o porteranno sicuramente
il loro contributo in materia (date al riguardo un'occhiata alle ultime
edizioni del catalogo Rounder!).
Salvo saltellare qui e là
secondo il capriccio, i vari passaggi del Grisman musicista, e della maggior
parte dei suoi più stretti collaboratori, seguono uno schema per niente affatto
raro: la musica tradizionale, il bluegrass più o meno progressivo, il folk in
senso lato, lo string-ragtime, la cosiddetta 'Dawg Music' (neologismo
grismaniano), il jazz ancora compreso entro rigide intelaiature, finalmente la
libera, assoluta improvvisazione. A questa, e per il momento, ultima fase
appartiene il disco in questione, gestito a metà con Andy Statman, altro
mandolinista e gran maratoneta della musica acustica con o senza connotazioni
etniche.
In Mandolin
Abstractions (mai titolo fu più appropriato) i due danno un saggio della
loro bravura compositiva ed interpretativa vomitando note a getto continuo
interrotte solo dalla impossibilità fisica di un 33 giri a contenerle tutte.
"La musica di questo LP" - tengono a precisare le note di copertina
(praticamente inesistenti, ma, a che servono spiegazioni?) - "è stata
composta spontaneamente in studio ed immediatamente registrata. Non si è fatto
ricorso a sovraincisioni o a rifacimenti". La libera improvvisazione, e la
straordinaria intesa dei duetti (Grisman nel canale sinistro, Statman in quello
destro), domina almeno i tre quarti del lavoro e culmina nelle due parti della Marcia
Per Mandole. Dove invece pare di rintracciare un qualche abbozzo di tema e
dove i suoni sembrano di nuovo ricordare la terra ferma è in Apassionata (sic),
una delicata melodia di squisito sapore partenopeo, in Two White Boys
Watching..., in cui il riff di un celebre successo dell'esagitato re del
r&b viene dilatato e compresso a mo' di un chewing-gum e in Ode To Jim
McReynolds (dedicated to Jesse McReynolds), un'orgia di cross-picking in
omaggio ai 'Bluegrass Brothers' per eccellenza.
I protagonisti
incontrastati di tutto quanto l'album sono il mandolino e suoi figliastri
(mandola e mandocello), le cui possibilità vengono sfruttate all'inverosimile. Sovente, ad
esempio, capita di ascoltare delle lunghissime 'cavalcate' sulle corde basse
che si direbbero provenire da una chitarra; altre volte l'intreccio dei duetti
è così fitto e l'intrico delle note così ingarbugliato da credere a stento
nella presenza di 'sole' 16 corde. A differenza di molti lavori del Quintet, a
lungo elaborati a tavolino, qui la musica prende forma e si concretizza con la
massima naturalezza e mantiene dall'inizio alla fine, specie nelle composizioni
più astratte ed impegnative, quella caratteristica di imprevedibilità che
contraddistingue opere del tutto spontanee.
Il disco è bello? Il
disco è brutto? Sono solo parole. Come è possibile dare una valutazione
oggettiva a questo tipo di musica? La 'New Acoustic Music' sembra addirittura trascendere
i normali concetti estetici, tanto che sarebbe forse tempo di pensare ad un
nuovo metro di giudizio o di affidarsi totalmente alle sensazioni ed alle
emozioni che è in grado di suscitare.
Per il momento, comunque,
tendiamo l'orecchio ed attendiamone gli effetti.