Sean
Watkins, il giovane chitarrista prodigio dei Nickel Creek (vale a dire la band
rivelazione che ha lasciato sbigottiti ed increduli gli appassionati di
bluegrass), questa primavera ha pubblicato il primo album a suo nome. E lo
sbigottimento e l’incredulità continuano: è davvero un mostro di bravura.
Si è
circondato di abili e collaudati session-man (tra gli altri Jerry Douglas,
Stuart Duncan, Todd Phillips) e di amici fidati (la sorella Sara, Chris Thile)
ed ha costruito un dischetto con materiale fresco ed originale, tutto composto
dallo stesso Sean ad eccezione di un unico pezzo tradizionale.
La
tecnica è ottima: Sean ruba un po’ da Tony Rice ed un po’ da Bryan Sutton e da
qualcun altro ancora, ma ci mette molto anche di suo. L’album è quasi
completamente strumentale, con l’eccezione della title-track, cantata
dall’amico Glen Phillips, che tra l’altro sta già incidendo con i Nickel Creek
per il loro prossimo disco che uscirà in autunno.
Veniamo
ora all’ascolto del disco, e qui porto le mie perplessità: insieme ad alcuni
pezzi intensi e godibili (principalmente Neo’s Song e The Ant And The
Ant), troviamo molti, troppi brani che non sono immediati, o anche solo
facilmente comprensibili. Questa difficoltà si ritrova in molti dischi di
chitarristi, ma qui questi pezzi, pur bellissimi, sono davvero tanti. Sono
brani intimi, introspettivi, addirittura asettici, che si arrotolano su se
stessi: mi sembrano certe composizioni di jazz o fusion-jazz.
Alcune
atmosfere sono altresì cupe, malinconiche, direi quasi depressive (magari
saranno i turbamenti dell’età, le masturbazioni mentali della
post-adolescenza), per non parlare dell’inutilità della bonus-track, puro
jazz-swing. Intendiamoci, non c’è solo esercitazione stilistica: questa è
musica fatta mettendoci dentro tutto il cuore, ma anche dopo ripetuti ascolti
rimane difficile, o peggio ancora rimane musica da sottofondo, una specie di
filodiffusione di lusso.
Non
vorrei essere stato troppo cattivo, questo è e rimane un ottimo disco, suonato
e arrangiato divinamente, ma nel mio scaffale lo ripongo sotto l’etichetta
jazz…