Sono
passati circa quattro anni dal precedente album ‘regolare’ di Nanci, inciso nel
1997 e intitolato Blue Roses From The Moons. In questi anni sono usciti
il secondo volume della ‘storia del folk revival secondo Nanci Griffith’, cioè Other
Voices, Too (1998) e l’orchestrale sguardo alla sua precedente produzione
discografica, Dust Bowl Symphony (1999).
Dall’inizio
del 2000 Nanci Griffith è stata coinvolta nel progetto ‘Campaign For A Landmine
Free World’ al quale ha dedicato questi ultimi due anni esibendosi anche nei
paesi del Sud Est asiatico come Vietnam, Cambogia e Laos.
La
fattiva collaborazione con la VVAF (Vietnam Veterans of America Foundation) le
ha aperto nuovi orizzonti e ha ulteriormente sensibilizzato la sua vena di
impegno sociale e umano già presente nel passato (basti ricordare canzoni come It’s
A Hard Life Wherever You Go e From A Distance).
Questo Clock
Without Hands, titolo che si riferisce ad un’opera letteraria di una delle
sue maggiori ispirazioni, Carson McCullers, è un disco che si pone tra le cose
più positive ed ispirate della carriera della cantautrice texana. Gli
arrangiamenti sono in perfetto equilibrio tra elettrico ed acustico con la Blue
Moon Orchestra che asseconda in maniera eccellente la protagonista,
sottolineando i suoi vari stati d’animo con grinta o delicatezza.
Alcune
delle canzoni di Clock Without Hands sono direttamente ispirate al
recente impegno di Nanci: Traveling Through This Part Of You, Pearl’s
Eye View (The Life Of Dickey Chapelle) dedicata alla figura della
fotoreporter scomparsa negli anni sessanta in Vietnam e Roses From The 4th
Of July in cui Nanci duetta con Michael Johnson, folksinger dalla carriera
importante ma abbastanza misconosciuta, sono momenti di particolare profondità
ed emozione in cui passato e presente si fondono mirabilmente.
Naturalmente
non mancano le covers, Nanci Griffith è sempre stata attenta nel corso della
sua carriera al materiale di altri artisti. Ben tre sono firmate dal grande
John Stewart che tra l’altro appare alla chitarra acustica e ai cori: Lost
Him In The Sun, dalla melodia molto sixties, The Ghost Inside Of Me
delicata e sognante e Armstrong, splendida ballata dai risvolti
pacifisti.
Le altre
covers sono Where Would I Be dell’inglese Paul Carrack, brano che
ritengo leggermente inferiore alla media del disco, la pianistica Cotton
scritta dal fido tastierista James Hooker e che ricorda le melodie un po’ ‘old
fashioned’ di Randy Newman e la conclusiva In The Wee Small Hours,
evergreen degli anni cinquanta.
Tra le
composizioni della Griffith, in questo album sempre in grande forma, sono da
segnalare la title-track con una melodia di grande presa, Midnight in
Missoula, in assoluto una delle mie preferite, Truly Something Fine
con Linda Ronstadt e la commovente Last Song For Mother.
Oltre
alla già citata Blue Moon Orchestra, gruppo che ormai affianca Nanci Griffith
da tanti anni, sono presenti Pete e Maura Kennedy, una coppia che da parecchio
tempo propone una ottima miscela di country, folk e rock con una produzione
discografica da tenere d’occhio.
In
definitiva Clock Without Hands rappresenta un importante capitolo per
Nanci Griffith e per la canzone d’autore americana; segna il ritorno
compositivo per una delle voci più genuine e cristalline negli Stati Uniti e un
sicuro punto di riferimento per gli appassionati.