Nativa del Texas e non
ancora diciottenne all’ uscita del suo debutto
discografico, Sarah Jarosz si presenta come una delle proposte più interessanti
del panorama acustico americano di matrice acustica tradizionale ed affini. Ha
iniziato la propria attività ufficiale all’età di dodici anni con jam libere on
stage suonando senza alcun timore il suo mandolino con mostri sacri quali David
Grisman e Ricky Skaggs. Quindi ha iniziato a scrivere le prime canzoni suonando
talvolta la chitarra e talvolta il banjo clawhammer, entrambi con buona maestria
ma restando fondamentalmente oltre che una songwriter, una cantante che ben si
accompagna con i suoi strumenti. La voce è morbida e vellutata, pronta e
potente quando serve.
Tredici le tracce di cui
undici portano la sua firma sia per la musica che per le liriche, cosa che non
è di poco conto. Molti gli ospiti a farle da band quali Jerry Douglas, Chris
Thile, Tim O’Brien, Darrell Scott, Stuart Duncan, Mark Schatz, Mike Marshall,
Samson Grisman, Kenny Malone, Alex Hargreave, Chris Eldridge, Byron House e
Jarosz che oltre alla voce si cimenta con il banjo clawhammer, la chitarra, il
mandolino ed il piano. Tutte le canzoni girano bene, hanno dei testi
interessanti quasi sempre dedicati all’amore ma senza mai cadere nel melenso e
mieloso. Tra tutte evidenzio la title track d’apertura
Song Up In Her Hand con band al completo e con un fantasioso assolo al
mandolino di Chris Thile e la track di chiusura Little Song in duo per
solo chitarra mandolino e voci sempre con Thile, entrambe da elogiare per l’originalità.
Una bella promessa, a
cavallo tra la tradizione ed il cantautorato ma con la freschezza e la
modernità di idee che l’età regala. Sentiremo parlare a lungo di questa
cantautrice, per il momento complimenti a lei ed alla Sugar Hill per averle creduto
e per l’ottimo lavoro di sala.