Terzo disco per il
cantante ed autore nato nel New Jersey ma presto trasferitosi a Raleigh, North
Carolina. James Dunn si è dedicato tardi alla musica, all’età di ventisei anni,
dopo aver perseguito una sua via nell’ambito dello sport. Questa sua passione ‘secondaria’
lo ha invece coinvolto grazie alla passione per gente come Bruce Springsteen,
Tom Petty, Jackson Browne, Bob Seger, Chris Isaak e Buddy Holly, figure
ispiratrici di una musicalità tra rock e canzone d’autore.
Dopo un EP di esordio nel
2006 intitolato Lonely American Dream, il suo disco della svolta verso
una affermazione importante è stato The Long Ride Home, uscito due anni
dopo, un lavoro di grande presa dove il suo pregevole senso della melodia si è
unito ad una altrettanto buona vena introspettiva nei testi.
The Bed We Made, inciso a Nashville e prodotto da
Brian Layson, già dietro la consolle di Will Hoge e Dierks Bentley tra gli
altri, ci consegna un’altra manciata di canzoni che vale la pena di ricordare,
con uno sguardo sempre intelligente ai rapporti interpersonali e alla lotta
quotidiana per consolidarli. Dal punto di vista musicale James Dunn ha alle
spalle una bella backup band in cui appare lo stesso producer alle chitarre,
Smith Curry a steel guitar e dobro che porta spesso i suoni nei territori di un
roots rock ispirato, Chris Tuttle alle tastiere e la sezione ritmica composta
da Steve Misamore alla batteria e Robbie Harrington al basso.
The Bed We Made scorre molto piacevolmente
partendo dalla title-track, certamente un’apertura significativa delle
intenzioni del Nostro sia per quanto riguarda i testi sia per la musica, per
proseguire con Circles On My Map, Crushed By The End Of Summer, Keeping
Score, Slipped Away e Our Little History, spina dorsale di un
album interessante per un artista certamente derivativo ma ricco di sensibilità
e di valore. Un musicista in crescita di cui sentiremo ancora parlare.