Una delle più brillanti,
innovative e personali banjoiste in circolazione, Alison Brown, torna dopo
cinque anni di assenza con un disco che conferma eccellenti doti strumentali e
amplia la sua voglia di esplorare il ‘songbook’ americano nella sua accezione
più completa, spingendosi in territori pop, rock e fusion. Dietro alla consolle
siede Garry West, qui nella duplice veste di bassista e co-produttore, oltre
che marito della Brown e co-fondatore della label di Nashville che ‘ospita’
questo disco.
Song Of The Banjo è, come nella tradizione delle produzioni discografiche di Alison
Brown, per la maggior parte strumentale e si avvale, sia per le parti cantate
che per quelle strumentali, di una serie straordinaria di ospiti che ne
tracciano lo svolgimento e ne caratterizzano le atmosfere. Dietro ai tamburi
siede uno dei più grandi batteristi americani, Steve Gadd, coadiuvato in
qualche momento dallo storico batterista nashvilliano Kenny Malone, mentre agli
strumenti a corda spiccano il fiddle di Stuart Duncan e il dobro di Rob Ickes.
Le canzoni sono secondo me quelle
che maggiormente lasciano il segno, a partire da una ottima versione del
classico di Michael Martin Murphey Carolina
In The Pines interpretato in maniera rilassata e notevole dalle Indigo
Girls Amy Ray ed Emily Saliers per poi passare ad una piacevole I’ll Never Fall In Love Again, notissima
melodia di Burt Bacharach con la voce di Colin Hay e, come bonus track, What’s Going On? di Marvin Gaye cantata
da Keb’ Mo, a mostrare quanto eclettica sia la proposta.
Anche gli strumentali mostrano
questa voglia di spaziare tra stili decisamente diversi, a partire dalla
melodia di stampo tradizionale A Long Way
Home e dall’introduttiva The Song Of
The Banjo. Il resto è una sorta di fusione di generi che in qualche momento
denota un po’ di debolezza e ripetitività, tra la cover di Feels So Good di Chuck Mangione e Time After Time di Cindy Lauper o di Dance With Me di John Hall, dall’aspetto perfetto ma proprio per
questo con l’impressione di una certa freddezza.