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Bravo
questo Tommy Brown. Con il suo banjo grintoso quanto basta, con la sua voce
ruvida al punto giusto e con un buon gruppo che lo sostiene con l’appropriato
feeling, ci dona un dischetto gradevole che si fa riascoltare volentieri.
Intendiamoci,
bluegrass tradizionale che di più non si può, tipico mountain style,
assolutamente non da gridare al miracolo ma ben eseguito, onesto, e quel che
più conta partecipato, fatto con il cuore.
Tommy
Brown nasce dalle parti di Louisville, nel Kentucky, e la sua biografia ci
ricorda che ha cominciato a suonare alla tenera età di sei anni, vincendo
numerosi premi. Anche i suoi County Line Grass provengono dallo stato dell’erba
blu, e sono molto attivi nel circuito dei festival locali.
Il
dischetto è abbastanza corposo (16 brani per quasi 50 minuti), e troviamo sia
originali sia classici, ma ben scelti, tra quelli che non si sentono troppo
sovente.
Qualche
tradizionale, un paio di Bill Monroe d’annata (Louisville Breakdown e Sweetheart,
When You Are Lonely), un gospel da Jimmy Martin, un Red Smiley (I Heard
My Mother Call My Name In Prayer), e proprio in quest’ultimo fornisce buona
prova come cantante il chitarrista Brian Myers. Tra gli originali ci tengo a
segnalare Saturday Night At Clay City, uno strumentale composto dal
mandolinista Glenn Alford, dall’incipit accattivante: è senz’altro il pezzo sul
quale il tastino del lettore torna più volentieri.
Lo stesso
Alford è autore di un altro paio di piacevoli pezzi, e canta solista in altri
quattro o cinque: la sua è una voce più impostata e meno ruvida di quella del
band leader Brown, ma ugualmente appropriata.
Un
dischetto che merita cercare per compiere un altro gradevole viaggio nel
profondo Mountain Bluegrass, autentico, genuino e appassionato. Bravo questo
Tommy Brown, da gustare con il cuore.
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