Con sette dischi all’attivo Pi Jacobs ha creato un percorso solido e corposo basato
essenzialmente sulle sue passioni per certo ‘americana’ venato di blues e rock,
passionale e profondamente coerente. Nel suo girovagare per gli States, un concerto nella cittadina di Floyd in Virginia le
ha aperto, quasi casualmente e grazie a Mark Hodges,
presidente della labelbluegrass
Mountain Fever, porte inaspettate, legando la propria
musica a suoni più acustici e roots. Senza
dimenticare i propri riferimenti blues, Pi Jacobs ha
quindi abbracciato con entusiasmo questo progetto prospettatole per unire, in
maniera acustica, suoni che nel ‘deepsouth’ sono meno distanti di quello che si potrebbe
pensare.
A Little Blue aggiunge quindi alla grintosa e
calda vocalità della cantante californiana quel bagaglio
culturale tipico delle zone appalachiane, fornendo nuovi spunti e nuovi
stimoli, tradotti ottimamente grazie anche alla produzione impeccabile di Aaron
Ramsey. Dobro, mandolino, lap steel, un bel tappeto di chitarre acustiche e
soprattutto il grande feeling di Pi Jacobs sono le
carte vincenti di un lavoro in cui l’eccitazione, la freschezza e lo spirito
nell’approcciare le canzoni sono la peculiarità e la costante. La vena
compositiva di Pi ha qui libero sfogo e mostra finezza, estro e amore per le
radici, fin dall’iniziale Dance Clean con cambi di ritmo e inusitata maestria nel
fondere soul e bluegrass. GoodThings è un altro ottimo esempio di inflessioni soul che virano verso una countrymusic sempre acustica e pregnante, FakingIt è invece
più introspettiva e cantautorale, interpretata con la
consueta intensità e vigore, Weed And Wine con
il suo carico di nostalgia e malinconia si candida tra le migliori dell’album
mentre WeAlways Come Home
ricorda (come alcune altre) i Subdudes, una band con
cui si condivide lo stesso ‘modus operandi’.
Un disco questo da tenere in
considerazione, così come conoscere Pi Jacobs potrà
arricchire e soddisfare la vostra passione per ‘americana’
e alt-country.